Se un anno fa la situazione d’emergenza creata dalla pandemia ha portato a “chiuderci dentro” casa, per trovare sicurezza e protezione da un “fuori” percepito come minaccioso e spaventante, oggi quelle stesse case sembrano esser diventate un luogo da cui fuggire.
Di fronte al cambiamento, le nostre capacità adattive ci hanno permesso di mettere in atto risorse e nuove modalità per fronteggiarlo (Control Mastery Theory, Gazzillo, 2016). Tuttavia, un recente articolo di Ilaria Betti su HuffPost ci aiuta a capire quanto, ad oggi, siano la stanchezza e la disperazione a primeggiare.
“Non vediamo più una fine”, “È un tempo sospeso”. Sono queste le frasi più comuni, indicatori di una profonda sofferenza. E tra le variabili che incidono sullo stress della popolazione vi è, sicuramente, la DAD (Didattica a Distanza).
Bambini privati di uno spazio di interazione sociale, adolescenti a cui è venuta meno la dimensione del desiderio e del futuro, genitori sopraffatti dal carico lavorativo e dalle faccende quotidiane, a cui si aggiunge il mandato di “seguire i figli in Dad”.
La sensazione è quella di essere dentro ad un tunnel, in cui è difficile vedere la via d’uscita. Un tunnel al momento caotico e disordinato, in cui ogni “goccia può far traboccare il vaso”, e in cui le dinamiche relazionali possono apparire esasperate ed esasperanti.
Ciò che sembra esser venuto meno è la possibilità di poter trovare uno spazio per sé, all’interno di questo disordine. Questa difficoltà, accompagnata da una profonda percezione di fatica e da un senso di impotenza, potrebbe esser dovuta ad un’accentuazione del senso di responsabilità che gli adulti/genitori sentono verso la propria famiglia e dal sentire, in modo sempre più forte, di doversi prender cura di tutto.
Quel “dentro” appare oggi affollato da bisogni, paure ed esigenze di chi amiamo. Un affollamento che, spesso, porta i genitori a sentire di doversene prender cura in modo totalizzante, rinunciando ad occuparsi dei propri bisogni e delle proprie paure e percependosi “soli” nel far fronte a tutte queste richieste. Il paradosso potrebbe essere quello di percepirsi soli, dentro “la folla”, proprio a causa della folla stessa.
Pensare anche a sé, mettere dei confini tra i propri bisogni e quelli dei figli e/o del partner, può diventare difficile per adulti a cui viene richiesto continuamente di essere e dover fare qualcosa.
Essere un bravo lavoratore che continua a svolgere al meglio il proprio lavoro, pena licenziamento; essere un buon genitore che si occupa delle difficoltà dei figli, che non possono esser lasciati soli in questo momento difficile, pena l’acuirsi delle loro sofferenze; essere un buon partner, accudente e premuroso verso l’altro, pena discussioni e incomprensioni.
Queste varie dimensioni, se nel pre-pandemia riuscivano, seppur con diverse variabili, a trovare un maggiore equilibrio, ora sembrano accavallarsi, dando l’impressione di essere risucchiati in un vortice senza fondo e di essere in un tempo sospeso in cui corri, corri, senza muoverti davvero.
Il rischio di fronte a questa percezione di profondo affaticamento potrebbe essere quello di adottare una modalità difensiva estremizzata, che potrebbe indurre al totale ritiro dalle proprie responsabilità, favorendo un disinvestimento e un totale allontanamento da ciò che sembra esser diventato “una zavorra” da portare.
Tale disinvestimento, per quanto apparentemente utile per uscire dall’apnea e prendere un po’ d’aria, potrebbe tuttavia confermare ulteriormente la sensazione di sentirsi e percepirsi soli, senza nessuno a cui chiedere aiuto e con cui condividere i “pesi” e le responsabilità familiari, in quanto porterebbe a mettere in atto un taglio netto dalle relazioni, percepite come soffocanti.
Una condivisione reale dei propri vissuti emotivi all’interno della coppia e delle proprie relazioni familiari, invece, potrebbe rappresentare un fattore di protezione. La possibilità di “fermarsi” in questo tempo sospeso e poter chiedere aiuto, alleggerendosi dal senso di colpa connesso al sentire di dover far funzionare tutto ed occuparsi di ogni cosa in modo impeccabile.
Inoltre, dentro questo affollamento, potrebbe esser utile ridistribuire pesi e responsabilità (ad esempio, potrebbero essere stabilite delle turnazioni tra i membri della famiglia nella gestione delle faccende domestiche e per far fronte ai compiti e alla Dad) e riuscire a ritagliarsi uno spazio proprio (ad esempio: una passeggiata a fine giornata), dedicato al prendersi cura anche di se stessi e dei propri bisogni, senza sentirsi egoisti o “cattivi”.
Se dal tunnel non si può fuggire, fare “squadra” con-dividendo compiti (scolastici e familiari) ed emozioni, può aiutare a fare ordine e a far entrare un po’ di luce, senza sentirsi sopraffatti. In fondo, anche in DAD è necessario che venga garantito uno spazio di ri-creazione!