La Control-Mastery Theory (CMT), in linea con le scoperte dell’Infant Research, della teoria dell’attaccamento e degli studi etologici ed evoluzionistici (Bowlby J., 1969,1973,1979,1980,1988; Ainsworth M. D. S., EICHBERG C. 1991; Emde, 1989; Fonagy P., GERGELY, G., JURIST, E., TARGET, M. ,2002; Pawlby S. J. (1977) Stern D.N., 1977,1985; Tomasello, 2009,2014; ), sottolinea come le relazioni primarie e le modalità stabili di interazione caregiver-bambino siano i contesti in cui si sviluppano gran parte delle credenze patogene e i relativi sensi di colpa interpersonali.
Partendo da questo presupposto, stiamo studiando e applicando la CMT alle psicoterapie per bambini coinvolgendo le loro principali figure di accudimento.
E’ evidente come anche i pazienti più piccoli (almeno dai 24 mesi in poi) sottopongano le persone significative a dei test relazionali, e come spesso i sintomi psicologici e le “bizzarrie” denunciate dalle maestre e/o dai genitori siano tentativi di disconfermare le credenze patogene che si stanno formando nella loro mente; anche i bambini, come gli adulti, sperano di sentirsi al sicuro e più degli adulti hanno bisogno di figure di riferimento per farlo. Una terapia CMT per l’età evolutiva cerca di aiutare i bambini a ottenere ciò di cui hanno bisogno per realizzare i loro desideri sani e le loro potenzialità.
Un’ importante differenza rispetto al lavoro con gli adulti è che nel bambino si assiste a un disperato tentativo di disconfermare delle credenze patogene ancora in formazione prima che queste possano diventare verità assolute, e i caregiver, che per i figli sono i detentori della loro verità e le figure centrali del loro mondo, possono modificare le convinzioni dei figli prima che esse si radichino nella loro mente. Un genitore, però, può anche cadere vittima dell’apparente incomprensibilità del comportamento del figlio e precipitare in vortici di malessere e frustrazione, fornendo un contesto familiare sempre meno rassicurante per il bambino stesso. Le esperienze finora condotte in ottica CMT sembrano quindi suggerire che una psicoterapia con un bambino che non mostra una sintomatologia troppo grave può essere relativamente breve e portare cambiamenti evidenti se comprende un lavoro di sostegno alla genitorialità, condotto sempre in ottica CMT. Un elemento centrale, in quest’ottica, è la comprensione e l’interruzione dei “circoli viziosi relazionali” che coinvolgono caregiver e figli quando i test reciproci non vengono superati e si alimentano paure e insicurezze, tanto da provocare nei bambini reazioni sempre più “sconsiderate” e “disfunzionali”, e nei genitori sentimenti di rabbia, impotenza, avvilimento e frustrazione, e risposte a loro volta controproducenti.
Un buon lavoro psicoterapeutico centrato esclusivamente sul bambino può di certo alleviare la sua sofferenza e ridurre l’impatto dei sintomi; ma se, quando torna a casa, il bambino si trova a vivere nuovamente le stesse situazioni relazionali problematiche che hanno alimentato le sue difficoltà, il lavoro fatto perde di efficacia se non viene del tutto vanificato. Ed è piuttosto illusorio pensare che un miglioramento del piccolo possa di per sé bastare a modificare in modo radicale il funzionamento del suo sistema familiare, questo sia perché gli adulti hanno un maggior potere “negoziale” rispetto ai bambini, sia perché le modalità e i problemi degli adulti sono in genere più stabili e resistenti al cambiamento di quelli di un bambino.
Partendo così dall’idea di rendere le psicoterapie infantili condotte in ottica CMT più brevi, più vicine alle possibilità economiche e alle esigenze delle famiglie di oggi, e più chiaramente centrate sull’identificazione di modelli ripetuti di interazione disfunzionale, abbiamo adattato il Metodo per la Formulazione del Piano (PFM; Curtis, Silberschatz, 1997), costruito e validato per la psicoterapia dei pazienti adulti, alle esigenze di una psicoterapia infantile in ottica CMT.